Nel 1972 viene pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, da parte del Club di Roma (fondato nel 1968). In esso si predice che la crescita economica non può proseguire indefinitamente così com’è stata messa in atto sino a quel momento a causa della limitata dotazione di risorse naturali del pianeta. Vista oggi una simile predizione sembra persino banale. Invece in quegli anni, appena al limitare del boom economico e sull’orlo della prima crisi petrolifera, gli avvenimenti e le prospettive non si leggevano allo stesso modo di oggi, anche se, per gli amanti delle idee di Vico sui corsi e ricorsi storici, sembra che ogni cambiamento possa essere solo apparente. All’epoca vi erano già molti scienziati e uomini di cultura che mettevano in guardia la società su un certo tipo di sviluppo. Manfredi Nicoletti raccoglie nel 1979 una serie di contributi sotto il titolo: L’ecosistema urbano. Nel 1982 Fritjof Capra, che da tempo si occupa del problema, nel suo libro Il punto di svolta, scriveva: “Ci troviamo di fronte a … un alto tasso di disoccupazione, a un crisi energetica, a una crisi nelle cure mediche, a inquinamento e altri disastri ambientali, a un’ondata crescente di violenza e crimine, e così via”, una sorta di profetica anticipazione della situazione odierna. Insomma, i problemi di un certo tipo di società e di economia ad essa correlata non risultano nuovi, ma nel tentativo di fornire qualche soluzione gli approcci risolutivi sono piuttosto diversi. Ogni cambiamento diventa difficile laddove i settori economici si sono stabilizzati e hanno trovato una loro maturità. Ogni variazione dello stato di pseudo equilibrio economico consolidato (è ovvio che l’economia non può sopravvivere con l’equilibrio e la staticità) è elemento di disturbo e quindi usualmente viene osteggiato da coloro che hanno raggiunto una posizione di adeguato benessere. Questo atteggiamento, profondamente radicato nel pensiero occidentale, non intende cedere le armi, intraprendendo ogni soluzione utile ad aggirare il problema. Desidero rammentare al lettore che ogni posizione, anche quella che adotta la tecnica della mediazione a oltranza, è sempre e comunque tendenziosa. Quindi ciò che segue potrebbe non può essere sufficientemente acquiescente nei confronti di qualcuno che magari si è lasciato trasportare più dal cuore che dalla ragione. Le giustificazioni addotte derivano da una sufficiente conoscenza scientifica delle problematiche esposte, considerando comunque valida ogni posizione, fino a prova contraria. Quando, magari attraverso agevolazioni statali, si pilotano certi settori economici qualcuno ne trae profitto, altri no. Qualche azienda nasce ex novo, altre ancora spostano i loro interessi o simulano una ricollocazione, altre scompaiono o vengono ridimensionate. Ogni spostamento di interessi, a sua volta, necessita perlomeno di qualche giustificazione, che più è capita dalla più ampia base, distribuita sulla maggior parte degli strati di utenti/consumatori/popolazione, e maggiore probabilità di successo avrà. Per operare una mutazione economica rispetto alla precedente vanno perciò messi in partita argomenti di facile e generale comprensione. È esattamente ciò che sta succedendo con la cosiddetta “sostenibilità, ecocompatibilità, energia pulita”, e così via. Tutti sono in grado di capire che il fumo che esce dal tubo di scappamento dell’auto, poiché puzza, si vede e manifesta un colore sospetto è più inquinante di una batteria elettrica che pesa moltissimo, contiene sostanze poco sostenibili, frutto di un processo di costruzione che consuma più energia di quella che produrrà durante la sua vita utile, ti fornisce energia quasi pari a quella dei carburanti tradizionali, e però non fuma e non puzza. Pochissimi sanno quanta energia serve per costruire quella batteria e quale incidenza avrà nell’ambiente lungo tutto il suo periodo di vita utile, comprendendo in tale periodo anche la sua realizzazione fino allo smaltimento. Così l’energia elettrica, spinta da motivazioni che non sto qui ad elencare, ma che poco hanno a che fare con la sostenibilità ambientale, sta pian piano soppiantando quella proveniente dalle fonti tradizionali. Certo è un passo importantissimo forse in una direzione meno inquinante, ma come sempre, ciò che riluce non sempre è oro.

Sostenibilità della domotica

ZENNARO, PIETRO
2011-01-01

Abstract

Nel 1972 viene pubblicato il Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, da parte del Club di Roma (fondato nel 1968). In esso si predice che la crescita economica non può proseguire indefinitamente così com’è stata messa in atto sino a quel momento a causa della limitata dotazione di risorse naturali del pianeta. Vista oggi una simile predizione sembra persino banale. Invece in quegli anni, appena al limitare del boom economico e sull’orlo della prima crisi petrolifera, gli avvenimenti e le prospettive non si leggevano allo stesso modo di oggi, anche se, per gli amanti delle idee di Vico sui corsi e ricorsi storici, sembra che ogni cambiamento possa essere solo apparente. All’epoca vi erano già molti scienziati e uomini di cultura che mettevano in guardia la società su un certo tipo di sviluppo. Manfredi Nicoletti raccoglie nel 1979 una serie di contributi sotto il titolo: L’ecosistema urbano. Nel 1982 Fritjof Capra, che da tempo si occupa del problema, nel suo libro Il punto di svolta, scriveva: “Ci troviamo di fronte a … un alto tasso di disoccupazione, a un crisi energetica, a una crisi nelle cure mediche, a inquinamento e altri disastri ambientali, a un’ondata crescente di violenza e crimine, e così via”, una sorta di profetica anticipazione della situazione odierna. Insomma, i problemi di un certo tipo di società e di economia ad essa correlata non risultano nuovi, ma nel tentativo di fornire qualche soluzione gli approcci risolutivi sono piuttosto diversi. Ogni cambiamento diventa difficile laddove i settori economici si sono stabilizzati e hanno trovato una loro maturità. Ogni variazione dello stato di pseudo equilibrio economico consolidato (è ovvio che l’economia non può sopravvivere con l’equilibrio e la staticità) è elemento di disturbo e quindi usualmente viene osteggiato da coloro che hanno raggiunto una posizione di adeguato benessere. Questo atteggiamento, profondamente radicato nel pensiero occidentale, non intende cedere le armi, intraprendendo ogni soluzione utile ad aggirare il problema. Desidero rammentare al lettore che ogni posizione, anche quella che adotta la tecnica della mediazione a oltranza, è sempre e comunque tendenziosa. Quindi ciò che segue potrebbe non può essere sufficientemente acquiescente nei confronti di qualcuno che magari si è lasciato trasportare più dal cuore che dalla ragione. Le giustificazioni addotte derivano da una sufficiente conoscenza scientifica delle problematiche esposte, considerando comunque valida ogni posizione, fino a prova contraria. Quando, magari attraverso agevolazioni statali, si pilotano certi settori economici qualcuno ne trae profitto, altri no. Qualche azienda nasce ex novo, altre ancora spostano i loro interessi o simulano una ricollocazione, altre scompaiono o vengono ridimensionate. Ogni spostamento di interessi, a sua volta, necessita perlomeno di qualche giustificazione, che più è capita dalla più ampia base, distribuita sulla maggior parte degli strati di utenti/consumatori/popolazione, e maggiore probabilità di successo avrà. Per operare una mutazione economica rispetto alla precedente vanno perciò messi in partita argomenti di facile e generale comprensione. È esattamente ciò che sta succedendo con la cosiddetta “sostenibilità, ecocompatibilità, energia pulita”, e così via. Tutti sono in grado di capire che il fumo che esce dal tubo di scappamento dell’auto, poiché puzza, si vede e manifesta un colore sospetto è più inquinante di una batteria elettrica che pesa moltissimo, contiene sostanze poco sostenibili, frutto di un processo di costruzione che consuma più energia di quella che produrrà durante la sua vita utile, ti fornisce energia quasi pari a quella dei carburanti tradizionali, e però non fuma e non puzza. Pochissimi sanno quanta energia serve per costruire quella batteria e quale incidenza avrà nell’ambiente lungo tutto il suo periodo di vita utile, comprendendo in tale periodo anche la sua realizzazione fino allo smaltimento. Così l’energia elettrica, spinta da motivazioni che non sto qui ad elencare, ma che poco hanno a che fare con la sostenibilità ambientale, sta pian piano soppiantando quella proveniente dalle fonti tradizionali. Certo è un passo importantissimo forse in una direzione meno inquinante, ma come sempre, ciò che riluce non sempre è oro.
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