La ricerca tenta di apprezzare i modi in cui il discorso pubblicitario costruisce l’identità di marca, la sua funzione di interfaccia tra cultura materiale e cultura visiva, e infine i suoi rapporti con la Storia, con quella realtà che, osserva Roland Barthes, “per essere quella in cui viviamo non è meno perfettamente storica”, e che secondo l’autore proprio il “linguaggio della cultura di massa”, compresa la pubblicità, tenderebbe a naturalizzare, epurandola delle sue densità e dei suoi conflitti. L’approccio semiotico inaugurato in particolare da Jean-Marie Floch sussume di fatto queste tre direttrici in un unico progetto conoscitivo. Com’è noto, l’autore avvicina la pubblicità a partire da un interesse più in generale sul visivo. Nel libro che raccoglie i suoi studi seminali sul livello plastico della significazione (Floch 1985), il semiologo individua nella semiotica plastica un linguaggio secondo, articolato principalmente per correlazione semi-simbolica, la cui dimensione poetica è sollevata dal giudizio estetico e definita in virtù della sua capacità il ragionamento. Per bricolage, il discorso pubblicitario esercita una forma di razionalità mitica che definisce lo specifico rapporto, tutto semiotico, che esso intrattiene con la “realtà”. Così come il pensiero mitico, l’identità visiva “opera a forza di analogie e confronti”, riorganizzando creativamente elementi eterogenei le cui possibilità di combinazione sono limitate, perché dense di un senso pregresso che ne limita la libertà d'uso. Il primo vincolo che condiziona l’identità di marca è quello, evidentemente, del "cambiare rimanendo se stessi" nel quadro di un bagaglio sedimentato di tratti espressivi e semantici distintivi. Tuttavia, lo “stock” cui essa attinge non riguarda semplicemente la propria storia, ma l’insieme dei discorsi sociali. Come osserva Gianfranco Marrone (2001), “la comunicazione commerciale si presenta come uno degli oggetti privilegiati di una scienza della significazione interessata ai fenomeni sociali”. In quanto attività comunicativa i cui scopi manipolatori sono espliciti e socialmente accettati, la pubblicità invita l’occhio semiotico a osservare i modi singolari in cui essa persegue l’obiettivo dichiarato di agire sul destinatario: “per raggiungere questi obiettivi, essa mette in moto una serie di procedure retoriche talvolta molto complesse […]”, che la rendono insieme un discorso sociale fra e su gli altri discorsi sociali, che parla “della società stessa entro cui di trova a vivere e ad agire” (ivi). Da cui la sua dimensione riflessiva e potenzialmente teorica (Calabrese 2012). Nei due spot in oggetto, la sfida di dar figura a un oggetto infigurabile come il “giocattolo sessuale” mobilita un laboratorio estetico e antropologico che sfocia, come tenteremo di mostrare, in una vera e propria teoria del decoro.

Decoro porno. Piccole mitologie del sex toy in due campagne pubblicitarie di PornHub (2020) e Eis (2015)

Addis, Maria Cristina
2025-01-01

Abstract

La ricerca tenta di apprezzare i modi in cui il discorso pubblicitario costruisce l’identità di marca, la sua funzione di interfaccia tra cultura materiale e cultura visiva, e infine i suoi rapporti con la Storia, con quella realtà che, osserva Roland Barthes, “per essere quella in cui viviamo non è meno perfettamente storica”, e che secondo l’autore proprio il “linguaggio della cultura di massa”, compresa la pubblicità, tenderebbe a naturalizzare, epurandola delle sue densità e dei suoi conflitti. L’approccio semiotico inaugurato in particolare da Jean-Marie Floch sussume di fatto queste tre direttrici in un unico progetto conoscitivo. Com’è noto, l’autore avvicina la pubblicità a partire da un interesse più in generale sul visivo. Nel libro che raccoglie i suoi studi seminali sul livello plastico della significazione (Floch 1985), il semiologo individua nella semiotica plastica un linguaggio secondo, articolato principalmente per correlazione semi-simbolica, la cui dimensione poetica è sollevata dal giudizio estetico e definita in virtù della sua capacità il ragionamento. Per bricolage, il discorso pubblicitario esercita una forma di razionalità mitica che definisce lo specifico rapporto, tutto semiotico, che esso intrattiene con la “realtà”. Così come il pensiero mitico, l’identità visiva “opera a forza di analogie e confronti”, riorganizzando creativamente elementi eterogenei le cui possibilità di combinazione sono limitate, perché dense di un senso pregresso che ne limita la libertà d'uso. Il primo vincolo che condiziona l’identità di marca è quello, evidentemente, del "cambiare rimanendo se stessi" nel quadro di un bagaglio sedimentato di tratti espressivi e semantici distintivi. Tuttavia, lo “stock” cui essa attinge non riguarda semplicemente la propria storia, ma l’insieme dei discorsi sociali. Come osserva Gianfranco Marrone (2001), “la comunicazione commerciale si presenta come uno degli oggetti privilegiati di una scienza della significazione interessata ai fenomeni sociali”. In quanto attività comunicativa i cui scopi manipolatori sono espliciti e socialmente accettati, la pubblicità invita l’occhio semiotico a osservare i modi singolari in cui essa persegue l’obiettivo dichiarato di agire sul destinatario: “per raggiungere questi obiettivi, essa mette in moto una serie di procedure retoriche talvolta molto complesse […]”, che la rendono insieme un discorso sociale fra e su gli altri discorsi sociali, che parla “della società stessa entro cui di trova a vivere e ad agire” (ivi). Da cui la sua dimensione riflessiva e potenzialmente teorica (Calabrese 2012). Nei due spot in oggetto, la sfida di dar figura a un oggetto infigurabile come il “giocattolo sessuale” mobilita un laboratorio estetico e antropologico che sfocia, come tenteremo di mostrare, in una vera e propria teoria del decoro.
2025
9791256153992
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/370429
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