Nel 1967, nel periodo in cui l'economia urbana stava cercando di fornire una risposta "paretocompatibile" alle drammatiche questioni che si erano addensate nella scena della città (congestione, inquinamento, conflitto sociale, criminalità, dissesto finanziario), William J. Baumol getta nell'arena del dibattito il suo modello sulla "crisi urbana". Gesto potenzialmente dirompente poiché, qualora il modello si fosse dimostrato fondato, quel tentativo di soluzione compiuto per il tramite dell'economia urbana si sarebbe rivelato privo di ogni possibilità di riuscita. Baumol prova infatti l'esistenza di un irriducibile trade-off tra aspetti quantitativi e qualitativi dello sviluppo, all'interno del quale la città si trova nel dilemma tra il rassegnarsi al declino, da un lato, a causa della progressiva scomparsa delle sue attività peculiari, e l'assumere un ruolo parassitario nei confronti del complessivo sistema economico, dall'altro, qualora intenda confermare nel tempo la sua funzione di produttore di servizi "qualificanti". La radicalità del trade-off è stata successivamente attenuata, a seguito dei rilievi mossi da alcuni autori, ma mai definitivamente risolta. Il presente contributo si propone di riesaminare il modello di Baumol, rimovendo alcune ipotesi che vi sono sottese e che appaiono scarsamente realistiche, in particolare da quando si è affermato il paradigma della conoscenza. Le conclusioni mostrano che, qualora la città costituisca un milieu innovatore, il dilemma prospettato da Baumol è destinato a dissolversi, nel senso che la crescita urbana può accompagnarsi allo sviluppo del sistema ed, anzi, ne diviene la condizione necessaria.
Città progressiva o città parassitaria? Una rivisitazione del modello di Baumol sulla "malattia da costi".
CUSINATO, AUGUSTO
2005-01-01
Abstract
Nel 1967, nel periodo in cui l'economia urbana stava cercando di fornire una risposta "paretocompatibile" alle drammatiche questioni che si erano addensate nella scena della città (congestione, inquinamento, conflitto sociale, criminalità, dissesto finanziario), William J. Baumol getta nell'arena del dibattito il suo modello sulla "crisi urbana". Gesto potenzialmente dirompente poiché, qualora il modello si fosse dimostrato fondato, quel tentativo di soluzione compiuto per il tramite dell'economia urbana si sarebbe rivelato privo di ogni possibilità di riuscita. Baumol prova infatti l'esistenza di un irriducibile trade-off tra aspetti quantitativi e qualitativi dello sviluppo, all'interno del quale la città si trova nel dilemma tra il rassegnarsi al declino, da un lato, a causa della progressiva scomparsa delle sue attività peculiari, e l'assumere un ruolo parassitario nei confronti del complessivo sistema economico, dall'altro, qualora intenda confermare nel tempo la sua funzione di produttore di servizi "qualificanti". La radicalità del trade-off è stata successivamente attenuata, a seguito dei rilievi mossi da alcuni autori, ma mai definitivamente risolta. Il presente contributo si propone di riesaminare il modello di Baumol, rimovendo alcune ipotesi che vi sono sottese e che appaiono scarsamente realistiche, in particolare da quando si è affermato il paradigma della conoscenza. Le conclusioni mostrano che, qualora la città costituisca un milieu innovatore, il dilemma prospettato da Baumol è destinato a dissolversi, nel senso che la crescita urbana può accompagnarsi allo sviluppo del sistema ed, anzi, ne diviene la condizione necessaria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.