Tra i più recenti impieghi della natura antropizzata i Vertical Garden brevettati dal botanico francese Patrick Blanc a metà degli anni '90 del secolo scorso costituiscono un esempio di paesaggio urbano in grado di coniugare arte e natura rendendolo disponibile al vasto pubblico delle città. I muri vegetali si propongono come espressione artistica riproducibile, una sorta di pop art del verde che necessita di una tecnologia banale per il supporto meccanico, ma di un'alimentazione e irrigazione costante per consentirne la vita, dato che le piante scelte da Blanc sopravvivono senza terra, ma hanno bisogno di trovare altrove ciò in natura ricevono dall’umidità presente nell’aria delle foreste tropicali da cui hanno origine. L'idea di introdurre il verde in facciata, in forme più organizzate e compiute rispetto all'impiego di rampicanti e discendenti, non è in realtà nuova. A partire dagli anni '70 si sono succedute diverse esperienze significative, condotte dal gruppo americano SITE (Sculpture In The Environment), da architetti come Emilio Ambasz o da artisti come Friedensreich Hundertwasser, che hanno proposto architetture contraddistinte da una forte integrazione dell’elemento vegetale, declinato con linguaggi e peculiarità diverse a seconda dell’autore. Il carattere inusuale dei muri di Blanc, giocosi e allegri nel loro combinare specie dalle forme e cromie eterogenee, ha incontrato il successo del pubblico e stimolato il mercato edilizio a proporre alternative di prodotto, semplificate nella tecnica e ridotte nei costi, che si sono diffuse rapidamente sotto forma di piccole e grandi campiture di verde, patchwork in forma di quadri che hanno dato vita a nuovi paesaggi, domestici o urbani, a volte stranianti. Le riflessioni che si propongono in questo intervento fanno riferimento a due aspetti di tale fenomeno: il ruolo della tecnica e della natura all’interno delle esperienze dei muri verdi e le prospettive future. La tecnica ha reso La tecnica ha reso infatti possibili inediti rapporti tra natura e architettura, aprendo possibilità inaspettate al desiderio primario dell’uomo di vivere nella natura e con la natura. Non più inteso come semplice sfondo scenografico, l’elemento vegetale è divenuto componente del progetto come ogni altro materiale, in grado di fornire prestazioni significative all’organismo edilizio contribuendo, ad esempio, all’isolamento termico e a mitigare la temperatura dell’ambiente circostante, collaborando alla qualità del sistema insediativo nel suo complesso, segno di condivisione ai principi di sostenibilità, fondamentali per superare l’odierna crisi ambientale. La scienza ne è incuriosita e nel suo bisogno di dare spiegazione e senso compiuto a ogni fenomeno monitorizza i muri vegetali a caccia di certezze. Anche gli autori fanno parte di un gruppo di ricerca che ha condotto test di prova su facciate verdi, ma sono convinti che i soli dati numerici non riescano a definire interamente il quadro di riferimento. Ne costituiscono un tassello che necessita di altri elementi, come la riflessione sulla natura impiegata in tali sperienze, domata e dipendente dalla tecnica prima ancora che dall’uomo: vera ma al tempo stesso artificiale nel suo dover rinunciare a qualsiasi autonomia e imprevedibilità. I muri vegetali appaiono spesso come paesaggi congelati appesi a facciate che hanno rinunciato alla loro identità architettonica per farsi messaggio artistico. Come i tratti sottili di Junya Ishigami riempivano di foglie, piante e fiori le pareti del Padiglione Giapponese della Biennale di Architettura del 2008, per trasformarsi in realtà solo al di fuori dei muri e trovare ospitalità in piccole serre trasparenti, così le campiture di piante esotiche dei muri vegetali appaiono come pennellate impresse su una tela di cemento, inesorabilmente fossilizzate nell’immagine creata dal loro artista: nature morte, viventi.

Paesaggi vegetali verticali: una riflessione di senso

TATANO, VALERIA;PERON, FABIO
2012-01-01

Abstract

Tra i più recenti impieghi della natura antropizzata i Vertical Garden brevettati dal botanico francese Patrick Blanc a metà degli anni '90 del secolo scorso costituiscono un esempio di paesaggio urbano in grado di coniugare arte e natura rendendolo disponibile al vasto pubblico delle città. I muri vegetali si propongono come espressione artistica riproducibile, una sorta di pop art del verde che necessita di una tecnologia banale per il supporto meccanico, ma di un'alimentazione e irrigazione costante per consentirne la vita, dato che le piante scelte da Blanc sopravvivono senza terra, ma hanno bisogno di trovare altrove ciò in natura ricevono dall’umidità presente nell’aria delle foreste tropicali da cui hanno origine. L'idea di introdurre il verde in facciata, in forme più organizzate e compiute rispetto all'impiego di rampicanti e discendenti, non è in realtà nuova. A partire dagli anni '70 si sono succedute diverse esperienze significative, condotte dal gruppo americano SITE (Sculpture In The Environment), da architetti come Emilio Ambasz o da artisti come Friedensreich Hundertwasser, che hanno proposto architetture contraddistinte da una forte integrazione dell’elemento vegetale, declinato con linguaggi e peculiarità diverse a seconda dell’autore. Il carattere inusuale dei muri di Blanc, giocosi e allegri nel loro combinare specie dalle forme e cromie eterogenee, ha incontrato il successo del pubblico e stimolato il mercato edilizio a proporre alternative di prodotto, semplificate nella tecnica e ridotte nei costi, che si sono diffuse rapidamente sotto forma di piccole e grandi campiture di verde, patchwork in forma di quadri che hanno dato vita a nuovi paesaggi, domestici o urbani, a volte stranianti. Le riflessioni che si propongono in questo intervento fanno riferimento a due aspetti di tale fenomeno: il ruolo della tecnica e della natura all’interno delle esperienze dei muri verdi e le prospettive future. La tecnica ha reso La tecnica ha reso infatti possibili inediti rapporti tra natura e architettura, aprendo possibilità inaspettate al desiderio primario dell’uomo di vivere nella natura e con la natura. Non più inteso come semplice sfondo scenografico, l’elemento vegetale è divenuto componente del progetto come ogni altro materiale, in grado di fornire prestazioni significative all’organismo edilizio contribuendo, ad esempio, all’isolamento termico e a mitigare la temperatura dell’ambiente circostante, collaborando alla qualità del sistema insediativo nel suo complesso, segno di condivisione ai principi di sostenibilità, fondamentali per superare l’odierna crisi ambientale. La scienza ne è incuriosita e nel suo bisogno di dare spiegazione e senso compiuto a ogni fenomeno monitorizza i muri vegetali a caccia di certezze. Anche gli autori fanno parte di un gruppo di ricerca che ha condotto test di prova su facciate verdi, ma sono convinti che i soli dati numerici non riescano a definire interamente il quadro di riferimento. Ne costituiscono un tassello che necessita di altri elementi, come la riflessione sulla natura impiegata in tali sperienze, domata e dipendente dalla tecnica prima ancora che dall’uomo: vera ma al tempo stesso artificiale nel suo dover rinunciare a qualsiasi autonomia e imprevedibilità. I muri vegetali appaiono spesso come paesaggi congelati appesi a facciate che hanno rinunciato alla loro identità architettonica per farsi messaggio artistico. Come i tratti sottili di Junya Ishigami riempivano di foglie, piante e fiori le pareti del Padiglione Giapponese della Biennale di Architettura del 2008, per trasformarsi in realtà solo al di fuori dei muri e trovare ospitalità in piccole serre trasparenti, così le campiture di piante esotiche dei muri vegetali appaiono come pennellate impresse su una tela di cemento, inesorabilmente fossilizzate nell’immagine creata dal loro artista: nature morte, viventi.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11578/53288
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