Erwin Panofsky nel suo saggio del 1927 Die Perspektive als “symbolische Form”, propone un metodo di rappresentazione, definito secondo la prospettiva angolare degli Antichi. Nel descriverlo, prendendo fondamento da Vitruvio, Panofsky scrive: “Ora, se si esegue la costruzione con l’aiuto di un simile cerchio di proiezione (ove, come abbiamo detto, gli archi di cerchio siano sostituiti dalle corde sottese) si giunge al risultato che coincide in un punto essenziale con i dipinti conservati: i prolungamenti delle linee di profondità non concorrono, con una convergenza rigorosa, in un punto; essi si incontrano (poiché svolgendo il cerchio, i suoi settori divergono in una qualche misura al vertice), convergendo soltanto debolmente a due a due in più punti, i quali giacciono tutti su un asse comune, tanto che ne nasce l’impressione di una lisca di pesce”. Approfondendo il significato di questa frase, la prima osservazione che si impone riguarda l’utilizzo di due sezioni - l’orizzontale, planimetrica, e la mediana, verticale - sulle quali, in un primo momento, sono proiettati i punti dell’oggetto. La rappresentazione di un punto viene pertanto tradotta da problema tridimensionale a bidimensionale, esattamente come avviene nella costruzione legittima del Brunelleschi, ma sostituendo un arco di cerchio alle tracce rettilinee del piano di rappresentazione. Arco di cerchio che, per mantenere la coerenza della configurazione proiettiva, deve necessariamente rappresentare la traccia di una superficie cilindrica perpendicolare al piano. Tuttavia, al contrario dell’uso di un piano, i due cerchi di proiezione introducono un fattore di inconsistenza nella configurazione proiettiva e di discontinuità metodologica. Infatti, la ricostruzione tridimensionale della configurazione proiettiva comporta appunto l’uso di due superfici cilindriche e non di una sfera o di una qualunque altra, unica, superficie. Nella pratica, dunque, si utilizzano i due cerchi perché i punti degli oggetti sono stati prima proiettati sui due piani: l’orizzontale per la pianta e il verticale per l’alzato. E’ poi da considerare che - per riportare, svolgere o proiettare le corde sottese su di un Quadro piano – si possono adottare vari metodi: l’ortoproiezione, la proiezione stereografica, il ribaltamento della corda o il ribaltamento dell’arco rettificato. L’articolo analizza le caratteristiche di questa forma di rappresentazione, in un confronto sinottico tra i vari metodi considerati, combinati con gli effetti ottenuti dalla variazione del diametro dei cilindri (cerchi) di proiezione. Il confronto è poi esteso ad altre proiezioni, in particolare la prospettiva sferica (stereografica ed ortografica) e cilindrica. Ne emerge una prevedibile ma curiosa inversione nella rappresentazione di rette parallele al Quadro o perpendicolari ad esso: nel caso di prospettive ottenute per mezzo di un’unica superficie curva (sfera, cilindro, ellissoide) le rette parallele al Quadro di norma risultano incurvate nella prospettiva (ad esclusione dei segmenti appartenenti ai piani orizzontali e verticali che contengono anche il Centro di Proiezione), mentre quelle perpendicolari ad esso rimangono rette. Il contrario avviene nella “prospettiva” panofskiana. I metodi studiati, infatti, possiedono tutti la caratteristica comune della concorrenza di linee perpendicolari al Quadro ad un unico Punto di concorso. Nel caso, però, della “prospettiva” proposta da Panofsky, la concorrenza al punto di fuga avviene non per rette (come in tutti gli altri casi) ma mediante archi, che appaiono essere funzioni della tangente iperbolica e con curvatura tanto più accentuata quanto più piccolo è il diametro dei cerchi proiettanti. Il confronto, infine, mostra le differenze – anche in questo caso tanto maggiori quanto più piccolo è il diametro dei cerchi proiettanti – tra i vari metodi di proiezione, riporto della corda o sviluppo dell’arco sul piano di rappresentazione.
La prospettiva degli Antichi nella costruzione proposta da Erwin Panofsky. Analisi e confronto sinottico.
TREVISAN, CAMILLO
2000-01-01
Abstract
Erwin Panofsky nel suo saggio del 1927 Die Perspektive als “symbolische Form”, propone un metodo di rappresentazione, definito secondo la prospettiva angolare degli Antichi. Nel descriverlo, prendendo fondamento da Vitruvio, Panofsky scrive: “Ora, se si esegue la costruzione con l’aiuto di un simile cerchio di proiezione (ove, come abbiamo detto, gli archi di cerchio siano sostituiti dalle corde sottese) si giunge al risultato che coincide in un punto essenziale con i dipinti conservati: i prolungamenti delle linee di profondità non concorrono, con una convergenza rigorosa, in un punto; essi si incontrano (poiché svolgendo il cerchio, i suoi settori divergono in una qualche misura al vertice), convergendo soltanto debolmente a due a due in più punti, i quali giacciono tutti su un asse comune, tanto che ne nasce l’impressione di una lisca di pesce”. Approfondendo il significato di questa frase, la prima osservazione che si impone riguarda l’utilizzo di due sezioni - l’orizzontale, planimetrica, e la mediana, verticale - sulle quali, in un primo momento, sono proiettati i punti dell’oggetto. La rappresentazione di un punto viene pertanto tradotta da problema tridimensionale a bidimensionale, esattamente come avviene nella costruzione legittima del Brunelleschi, ma sostituendo un arco di cerchio alle tracce rettilinee del piano di rappresentazione. Arco di cerchio che, per mantenere la coerenza della configurazione proiettiva, deve necessariamente rappresentare la traccia di una superficie cilindrica perpendicolare al piano. Tuttavia, al contrario dell’uso di un piano, i due cerchi di proiezione introducono un fattore di inconsistenza nella configurazione proiettiva e di discontinuità metodologica. Infatti, la ricostruzione tridimensionale della configurazione proiettiva comporta appunto l’uso di due superfici cilindriche e non di una sfera o di una qualunque altra, unica, superficie. Nella pratica, dunque, si utilizzano i due cerchi perché i punti degli oggetti sono stati prima proiettati sui due piani: l’orizzontale per la pianta e il verticale per l’alzato. E’ poi da considerare che - per riportare, svolgere o proiettare le corde sottese su di un Quadro piano – si possono adottare vari metodi: l’ortoproiezione, la proiezione stereografica, il ribaltamento della corda o il ribaltamento dell’arco rettificato. L’articolo analizza le caratteristiche di questa forma di rappresentazione, in un confronto sinottico tra i vari metodi considerati, combinati con gli effetti ottenuti dalla variazione del diametro dei cilindri (cerchi) di proiezione. Il confronto è poi esteso ad altre proiezioni, in particolare la prospettiva sferica (stereografica ed ortografica) e cilindrica. Ne emerge una prevedibile ma curiosa inversione nella rappresentazione di rette parallele al Quadro o perpendicolari ad esso: nel caso di prospettive ottenute per mezzo di un’unica superficie curva (sfera, cilindro, ellissoide) le rette parallele al Quadro di norma risultano incurvate nella prospettiva (ad esclusione dei segmenti appartenenti ai piani orizzontali e verticali che contengono anche il Centro di Proiezione), mentre quelle perpendicolari ad esso rimangono rette. Il contrario avviene nella “prospettiva” panofskiana. I metodi studiati, infatti, possiedono tutti la caratteristica comune della concorrenza di linee perpendicolari al Quadro ad un unico Punto di concorso. Nel caso, però, della “prospettiva” proposta da Panofsky, la concorrenza al punto di fuga avviene non per rette (come in tutti gli altri casi) ma mediante archi, che appaiono essere funzioni della tangente iperbolica e con curvatura tanto più accentuata quanto più piccolo è il diametro dei cerchi proiettanti. Il confronto, infine, mostra le differenze – anche in questo caso tanto maggiori quanto più piccolo è il diametro dei cerchi proiettanti – tra i vari metodi di proiezione, riporto della corda o sviluppo dell’arco sul piano di rappresentazione.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.