Nel XVIII secolo la scoperta del valore storico-monumentale delle rovine annuncia il sorgere di una nuova consapevolezza sospesa tra il presente vissuto come tale e un passato da cui ci si sente finalmente emancipati: permette, in questo senso, la costruzione di uno sguardo unico sul tempo. Rende possibile osservare le epoche trascorse per quello che sono state e non per quanto sono diventate: un oggetto tangibile che, nell'esperienza quotidiana che se ne fa, si lascia toccare e vivere nei termini di una distanza. Nel XIX secolo, questa distanza con cui si possono osservare le cose per meglio disporne risulta completamente scompaginata e le rovine, lungi dall’offrire un’immagine serena e distaccata delle cose, si presentano come elemento sensibile del sogno poetico: come uno specchio dell’anima. Nel XX secolo le rovine non costituiscono più la casa dei mostri ma un luogo di meravigliose metamorfosi. Si rinuncia, quindi, a vedere tragicamente questo specchio e si prende a considerarlo come un parco incantato visitabile e perfino godibile, dove appagarsi dello spaesamento senza lasciarsi troppo impressionare. Il XXI secolo rende infine abitabili le rovine: dona loro la forma dell’industria culturale cosicché, come in un giardino dei balocchi, come in un’isola di Citera, chiunque possa andarvi alla deriva, installarvisi occasionalmente o stabilirvi la propria dimora definitiva. In tal modo un’esperienza che, nei secoli passati, ha indicato il perdersi nelle brume del delirio o dell’alienazione mentale, diventa un aspetto comune della vita ordinaria, un occasione anodina dell’esistenza quotidiana.
Le rovine come deriva e come approdo. L’industria culturale del XXI secolo
GRASSI, CARLO
2010-01-01
Abstract
Nel XVIII secolo la scoperta del valore storico-monumentale delle rovine annuncia il sorgere di una nuova consapevolezza sospesa tra il presente vissuto come tale e un passato da cui ci si sente finalmente emancipati: permette, in questo senso, la costruzione di uno sguardo unico sul tempo. Rende possibile osservare le epoche trascorse per quello che sono state e non per quanto sono diventate: un oggetto tangibile che, nell'esperienza quotidiana che se ne fa, si lascia toccare e vivere nei termini di una distanza. Nel XIX secolo, questa distanza con cui si possono osservare le cose per meglio disporne risulta completamente scompaginata e le rovine, lungi dall’offrire un’immagine serena e distaccata delle cose, si presentano come elemento sensibile del sogno poetico: come uno specchio dell’anima. Nel XX secolo le rovine non costituiscono più la casa dei mostri ma un luogo di meravigliose metamorfosi. Si rinuncia, quindi, a vedere tragicamente questo specchio e si prende a considerarlo come un parco incantato visitabile e perfino godibile, dove appagarsi dello spaesamento senza lasciarsi troppo impressionare. Il XXI secolo rende infine abitabili le rovine: dona loro la forma dell’industria culturale cosicché, come in un giardino dei balocchi, come in un’isola di Citera, chiunque possa andarvi alla deriva, installarvisi occasionalmente o stabilirvi la propria dimora definitiva. In tal modo un’esperienza che, nei secoli passati, ha indicato il perdersi nelle brume del delirio o dell’alienazione mentale, diventa un aspetto comune della vita ordinaria, un occasione anodina dell’esistenza quotidiana.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.