L’articolo rappresenta un segmento della ricerca condotta all’interno dell’assegno di ricerca “Heritage and Landscape” su fondi di Ateneo dell'Università Iuav. L’assegno si concentra sui territori e sulle forme che consumano fino all’esaurimento le icone del proprio patrimonio architettonico. Il focus è sul delicato rapporto tra Heritage e progetto nel nostro tempo, nella consapevolezza che nel paesaggio contemporaneo, dove più profonde si sono incise le ferite dell’anestetico e dell’inestetico, non si tratta più tanto di difendere, ma di restituire senso all’abitare, attualizzarlo. Se la conservazione è il tentativo di estrarre la permanenza dalla mutabilità, la restituzione cerca di svelare la contemporaneità nascosta nel passato. La cultura del nostro tempo ha rimosso il concetto di limite. La morte è sempre più questione altrui, spettacolarizzazione, o tanatologia. Eppure la sua cancellazione è impossibile. Aule del commiato e case funerarie, zone neutre pensate più per minimizzare che per confortare, nell’estremo tentativo di anestetizzare il dolore della perdita, di rimuovere la morte. Architettura anestetica per una società a-mortale che deve ridurre la propria sensibilità. Mentre proprio la morte è il limite che ci umanizza. John Hejduk, a dispetto del suo tempo, rimette la morte al centro dell’opera svelandoci l’unico modo per non soccombere: celebrarla. La sua opera non dimostra nulla, celebra ogni cosa. Attraverso il dolore la sua architettura recupera la sensibilità della forma, la sua empatia.

Scandalo del limite e anestesia della forma nella società a-mortale. "Io celebro" di John Hejduk, una formula oltre la morte = Scandal of the limit and anesthesia of the form in the society of a-mortality.I celebrate by John Hejduk, a formula beyond death

Pisciella, Susanna
2021-01-01

Abstract

L’articolo rappresenta un segmento della ricerca condotta all’interno dell’assegno di ricerca “Heritage and Landscape” su fondi di Ateneo dell'Università Iuav. L’assegno si concentra sui territori e sulle forme che consumano fino all’esaurimento le icone del proprio patrimonio architettonico. Il focus è sul delicato rapporto tra Heritage e progetto nel nostro tempo, nella consapevolezza che nel paesaggio contemporaneo, dove più profonde si sono incise le ferite dell’anestetico e dell’inestetico, non si tratta più tanto di difendere, ma di restituire senso all’abitare, attualizzarlo. Se la conservazione è il tentativo di estrarre la permanenza dalla mutabilità, la restituzione cerca di svelare la contemporaneità nascosta nel passato. La cultura del nostro tempo ha rimosso il concetto di limite. La morte è sempre più questione altrui, spettacolarizzazione, o tanatologia. Eppure la sua cancellazione è impossibile. Aule del commiato e case funerarie, zone neutre pensate più per minimizzare che per confortare, nell’estremo tentativo di anestetizzare il dolore della perdita, di rimuovere la morte. Architettura anestetica per una società a-mortale che deve ridurre la propria sensibilità. Mentre proprio la morte è il limite che ci umanizza. John Hejduk, a dispetto del suo tempo, rimette la morte al centro dell’opera svelandoci l’unico modo per non soccombere: celebrarla. La sua opera non dimostra nulla, celebra ogni cosa. Attraverso il dolore la sua architettura recupera la sensibilità della forma, la sua empatia.
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