Attualmente si realizzano complessi edilizi a carattere temporaneo/emergenziale per il ricovero di indigenti ed emarginati, comunque collocati in posizioni distanziate dalle parti propriamente urbane delle città, chiusi entro recinti impermeabili, ove confinare “gli spazi altri” della miseria, senza ricercarne alcuna forma di rappresentatività architettonica. I "miserabili" contemporanei sono coloro che si trovano in una condizione di pressoché totale "sradicamento": senzatetto, rifugiati, recenti immigrati, disoccupati, lavoratori precari/nomadici, vecchi poveri e, per alcuni aspetti, studenti universitari fuorisede non facoltosi. Ci sono state nella modernità concrete realizzazioni di autenticamente nuove architetture rappresentative per alloggiare la miseria, che abbiano in particolare ricercato un vitale inserimento nel tessuto delle città, tali da potere suggerire indicazioni per la condizione strettamente contemporanea? Quali figure architettoniche-urbane hanno assunto? Lo schizzo del 1929 di Le Corbusier Le navire/le palais/le paquebot/SDN/le gratte-ciel/la colline artificielle mostra la sezione di una grande nave a fianco di un palazzo monumentale parigino, nonché il profilo laterale della stessa nel confronto con quello del progetto di Le Corbusier per il concorso per la Società delle Nazioni a Ginevra del 1927. Se, come già nel profilo del piroscafo Aquitania sullo sfondo degli edifici monumentali parigini in Vers une Architecture, Le Corbusier evidenzia la radicale differenza di scala delle moderne navi rispetto ai più rappresentativi edifici dell'architettura della città premoderna, nel confronto con il proprio progetto del 1927 viene viceversa evidenziata la similitudine dimensionale. Ma ciò che soprattutto appare evidente è l'analoga autonomia delle due costruzioni e la natura atopica che le connota; l'edificio di Le Corbusier si confronta infatti con il terreno di un luogo specifico in indifferente distacco, dal momento che risulta sospeso tramite pilotis su di uno strato altro: la figura dello sradicamento. Il grande piroscafo, il transatlantico notoriamente rappresenta per Le Corbusier – come per molti suoi contemporanei – il riferimento utopico cui deve tendere la nuova architettura della metropoli. D'altro canto secondo Foucault, se le utopie sono senza luogo, in ogni società ed epoca esistono tuttavia utopie che giungono a concretizzarsi in spazi concreti, “gli spazi altri” delle eterotopie: “E se si pensa che la nave, il grande bastimento del XIX secolo, è un pezzo di spazio vagante, un luogo senza luogo che vive per se stesso, chiuso in sé... si comprende perché la nave sia stata per la nostra civiltà... l’eterotopia per eccellenza.” Si capisce come la nave possa divenire la figura autenticamente rappresentativa del moderno abitare, nella condizione di sradicamento che caratterizza la metropoli del nostro tempo. Proprio sull'architettura finalizzata a fornire riparo a chi vive in uno stato di più o meno totale sradicamento – in condizioni di miseria, emarginazione o precarietà – si concentrano alcune radicali sperimentazioni lecorbusieriane sulle navi per abitare, realizzate tra gli anni '20 e '30 a Parigi: le prime tre sono commissionate dall'Armée du Salut e anche la quarta risponde in un certo senso a problematiche analoghe, fornendo alloggio a studenti universitari fuorisede. Se la nave per Le Corbusier è l’immagine utopica dell’architettura dell'abitare sradicato della nuova epoca, tuttavia essa non può che ricercare nuove forme di rapporto con i luoghi concreti, in collocazioni ben visibili all'interno della città. Così il frammento di nave sospesa del Dortoir du Palais du Peuple del 1926 risulta comunque inserito in un'area urbana centrale, mentre l'Asile Flottant del 1928-30 – letteralmente un'imbarcazione – sceglie di ormeggiare durante l'inverno di fronte al Palais du Louvre. E se la grande nave del Pavillon Suisse alla Cité Universitaire del 1930-33 mette a punto la forma della sospensione atopica dal terreno, proponendo il primo vero e proprio suolo artificiale lecorbusieriano, sollevato su monumentali pilotis, nel complesso della Cité de Refuge del 1929-33 si definisce una più dialettica e articolata ipotesi: la porzione basamentale – frammentaria choisyana composizione “acropolica”– sembra manifestare continuità nel confronto con la scala e i principi di formazione del tessuto urbano storicamente consolidato, mentre la grande nave in elevazione appare portatrice di misure e nuove leggi formali proprie della moderna dimensione metropolitana. A partire dal tema del rifugio per la miseria, queste opere costituiscono le prime sperimentazioni lecorbusieriane di inserimento nella città preesistente di architetture, in forma di atopiche navi più o meno frammentarie e sospese dal suolo, che in senso più ampio sembrano suggerire la nuova figura appropriata all'architettura della moderna metropoli, nella inevitabile condizione di sradicamento che coinvolge tutti gli abitanti del nostro tempo.
Navi urbane
Doimo, Martino
2024-01-01
Abstract
Attualmente si realizzano complessi edilizi a carattere temporaneo/emergenziale per il ricovero di indigenti ed emarginati, comunque collocati in posizioni distanziate dalle parti propriamente urbane delle città, chiusi entro recinti impermeabili, ove confinare “gli spazi altri” della miseria, senza ricercarne alcuna forma di rappresentatività architettonica. I "miserabili" contemporanei sono coloro che si trovano in una condizione di pressoché totale "sradicamento": senzatetto, rifugiati, recenti immigrati, disoccupati, lavoratori precari/nomadici, vecchi poveri e, per alcuni aspetti, studenti universitari fuorisede non facoltosi. Ci sono state nella modernità concrete realizzazioni di autenticamente nuove architetture rappresentative per alloggiare la miseria, che abbiano in particolare ricercato un vitale inserimento nel tessuto delle città, tali da potere suggerire indicazioni per la condizione strettamente contemporanea? Quali figure architettoniche-urbane hanno assunto? Lo schizzo del 1929 di Le Corbusier Le navire/le palais/le paquebot/SDN/le gratte-ciel/la colline artificielle mostra la sezione di una grande nave a fianco di un palazzo monumentale parigino, nonché il profilo laterale della stessa nel confronto con quello del progetto di Le Corbusier per il concorso per la Società delle Nazioni a Ginevra del 1927. Se, come già nel profilo del piroscafo Aquitania sullo sfondo degli edifici monumentali parigini in Vers une Architecture, Le Corbusier evidenzia la radicale differenza di scala delle moderne navi rispetto ai più rappresentativi edifici dell'architettura della città premoderna, nel confronto con il proprio progetto del 1927 viene viceversa evidenziata la similitudine dimensionale. Ma ciò che soprattutto appare evidente è l'analoga autonomia delle due costruzioni e la natura atopica che le connota; l'edificio di Le Corbusier si confronta infatti con il terreno di un luogo specifico in indifferente distacco, dal momento che risulta sospeso tramite pilotis su di uno strato altro: la figura dello sradicamento. Il grande piroscafo, il transatlantico notoriamente rappresenta per Le Corbusier – come per molti suoi contemporanei – il riferimento utopico cui deve tendere la nuova architettura della metropoli. D'altro canto secondo Foucault, se le utopie sono senza luogo, in ogni società ed epoca esistono tuttavia utopie che giungono a concretizzarsi in spazi concreti, “gli spazi altri” delle eterotopie: “E se si pensa che la nave, il grande bastimento del XIX secolo, è un pezzo di spazio vagante, un luogo senza luogo che vive per se stesso, chiuso in sé... si comprende perché la nave sia stata per la nostra civiltà... l’eterotopia per eccellenza.” Si capisce come la nave possa divenire la figura autenticamente rappresentativa del moderno abitare, nella condizione di sradicamento che caratterizza la metropoli del nostro tempo. Proprio sull'architettura finalizzata a fornire riparo a chi vive in uno stato di più o meno totale sradicamento – in condizioni di miseria, emarginazione o precarietà – si concentrano alcune radicali sperimentazioni lecorbusieriane sulle navi per abitare, realizzate tra gli anni '20 e '30 a Parigi: le prime tre sono commissionate dall'Armée du Salut e anche la quarta risponde in un certo senso a problematiche analoghe, fornendo alloggio a studenti universitari fuorisede. Se la nave per Le Corbusier è l’immagine utopica dell’architettura dell'abitare sradicato della nuova epoca, tuttavia essa non può che ricercare nuove forme di rapporto con i luoghi concreti, in collocazioni ben visibili all'interno della città. Così il frammento di nave sospesa del Dortoir du Palais du Peuple del 1926 risulta comunque inserito in un'area urbana centrale, mentre l'Asile Flottant del 1928-30 – letteralmente un'imbarcazione – sceglie di ormeggiare durante l'inverno di fronte al Palais du Louvre. E se la grande nave del Pavillon Suisse alla Cité Universitaire del 1930-33 mette a punto la forma della sospensione atopica dal terreno, proponendo il primo vero e proprio suolo artificiale lecorbusieriano, sollevato su monumentali pilotis, nel complesso della Cité de Refuge del 1929-33 si definisce una più dialettica e articolata ipotesi: la porzione basamentale – frammentaria choisyana composizione “acropolica”– sembra manifestare continuità nel confronto con la scala e i principi di formazione del tessuto urbano storicamente consolidato, mentre la grande nave in elevazione appare portatrice di misure e nuove leggi formali proprie della moderna dimensione metropolitana. A partire dal tema del rifugio per la miseria, queste opere costituiscono le prime sperimentazioni lecorbusieriane di inserimento nella città preesistente di architetture, in forma di atopiche navi più o meno frammentarie e sospese dal suolo, che in senso più ampio sembrano suggerire la nuova figura appropriata all'architettura della moderna metropoli, nella inevitabile condizione di sradicamento che coinvolge tutti gli abitanti del nostro tempo.File | Dimensione | Formato | |
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